Catherine ha lo sguardo dolce e stanco di chi nella vita non si è mai risparmiato.
Ci accoglie nella hall dell’albergo dove ci siamo fermati per la prima notte in India. Ha un sari rosso, con una stola a fiorellini su sfondo bianco. Un viso materno e pieno, che si accende quando parla dei ragazzi e si increspa ogni volta che nomina Paul, suo figlio.
Paul rimane gravemente disabile all’età di dodici anni, dopo una meningite che si porta via anche le capacità più quotidiane e banali, come nutrirsi, vestirsi, avere cura di sé.
Ma Catherine non perde tempo. Una volta compreso che nel distretto di Vellore non ci sono servizi in grado di offrire al figlio l’assistenza di cui ha bisogno e dopo aver realizzato quante altre madri si trovano in una situazione simile alla sua, si rimbocca le maniche, studia fisioterapia e apre il Best New Life Shelter, centro diurno per bambini con ritardo mentale.
Sceglie con cura le persone che la affiancheranno in questo percorso. Alcuni sono genitori di bambini che frequentano il centro, determinati e disponibili. Altri sono persone con disabilità, ansiose di giocarsi un’opportunità, di mostrare i talenti che nessuno ancora ha visto oltre il deficit. Come Mr Srinivasan, educatore e formatore colpito dalla polio in tenera età, che gli ha inibito l’utilizzo degli arti inferiori.
Catherine offre loro questa opportunità, in cambio chiede passione e professionalità. Non verrà delusa.
Quello stesso connubio di passione e professionalità conquista la fiducia di Cittadinanza Onlus che, nel 2004, decide di sostenere il progetto. I servizi offerti sono molti, alla riabilitazione fisica si affiancano le attività educative, lo yoga, l’alimentazione bilanciata, la formazione professionale. Col passare degli anni aumentano le iscrizioni, i ragazzi crescono e il centro cresce con loro: la sala di fisioterapia, il muro di cinta, il pulmino, l’orto, la cucina completamente rinnovata. Al culmine dello sviluppo di BNLS, nell’autunno del 2016, all’età di 27 anni si spegne Paul Prashanth, che ha ispirato tutto questo.
La storia di questo centro è bella da raccontare.
E’ fatta di attenzione, determinazione e desiderio di cambiare le cose.
Ma è l’atmosfera quella che si fa fatica a descrivere a parole. C’è tutta l’armonia di un contesto familiare, la bellezza di un posto sicuro e accogliente dove crescere bene, circondato da persone che hanno cura di te.
L’ospitalità è così sacra, l’accoglienza così calorosa che sentirsi a casa dall’altra parte del mondo diventa facile come respirare.
Catherine è cristiana. Il suo braccio destro è Fatimah, l’unica figura vestita di nero in un vortice di sari colorati e maniche corte. Fatimah è musulmana. La sua presenza è preziosa, ci aiuta nelle riunioni con un inglese pulito da interprete, studiato anni fa. Dopo la nascita di suo figlio, Muahamad Arshad, si forma in psicologia e diventa una special teacher. Un’altra colonna portante del centro è Ms. Hemamalini. Una malattia contratta da piccola le ha lasciato la parte sinistra del corpo sottosviluppata, ma questo non le ha impedito di darsi da fare, prima lavorando per un’azienda, poi come educatrice per il centro. E’ hindu e prima di partire ci tiene a vestirmi come una vera donna tamil. Infila braccialetti di vetro rosso ai miei polsi e mi intreccia i capelli con fiori di gelsomino.
Osserverei queste tre donne interagire tra loro per ore.
La sincera amicizia, la ferrea motivazione e l’attenzione per ogni singolo ragazzo del centro traspaiono da ogni gesto e ogni discorso che gli sento fare. La loro cultura e religione se la portano addosso, eppure non è motivo di ostacolo per le loro relazioni, per la loro missione. Mi stupisco e non dovrei, pensando a quante volte ci preoccupiamo di cose sbagliate.
Il progetto va rilanciato e noi siamo qui per ragionarci con loro, partendo da ciò che vivono e sanno.
Passiamo la settimana facendo riunioni di ore, discutendo dello sviluppo del centro, della riorganizzazione delle attività, degli obiettivi a medio e lungo termine e delle problematiche legate al contesto rurale, alla società, allo stigma e alla burocrazia corrotta.
A volte i problemi son talmente tanti che mi chiedo dove Catherine abbia preso le forze e le energie per costruire e portare avanti tutto questo. Poi capisco perché mi sembra strano, perché mi faccio tutte queste domande. Non sono ancora genitore.
Dopo la morte di Paul, Catherine vive un momento di grande dolore e stanchezza. Vacilla.
Ma come ci dice Fatimah, anche nei giorni immediatamente successivi alla morte di Paul, lei non manca l’appuntamento con i suoi ragazzi. Va avanti con il progetto, con i bambini e ragazzi che restano.