Bruna Sironi, dal 2018 nostra volontaria a Nairobi, collabora stabilmente con la rivista Nigrizia e ha alle spalle oltre 20 anni di cooperazione in Africa.

“In Kenya il Coronavirus è preso molto seriamente e fa paura, anche se i numeri del contagio sono per ora limitati. Secondo i dati diffusi dal Ministero della Salute il 29 marzo, nel paese c’erano 42 positivi, una persona ricoverata e un morto. Complessivamente erano in osservazione 833 persone. Dalla settimana prossima saranno sottoposte a test tutte le persone arrivate nel paese la scorsa settimana e con ogni probabilità il numero dei positivi aumenterà notevolmente. Il virus è stato trovato per ora a Nairobi, 31 positivi, nella confinante contea di Kajado (1) e sulla costa, precisamente nelle contee di Mombasa (3), Kilifi (6) e Kwale (1). La contea di Kilifi è quella dove si trova Malindi, la località
turistica piú frequentata dagli italiani in Kenya.

La prima persona positiva è stata scoperta una ventina di giorni fa: una giovane donna keniana di
ritorno nel paese dagli Stati Uniti, dopo uno stop a Londra. Subito il governo è intervenuto con
misure sempre piú severe. Due settimane fa sono state chiuse le scuole di ogni ordine e grado, è
stato chiesto di muoversi con prudenza e di lavorare se possibile da casa. E’ stato anche sottolineato
quanto sia importante lavarsi le mani. Ora per entrare nei centri commerciali, nei negozi e perfino
nei compound, dove si trovano residenze ed attività commerciali, bisogna passare dal dispenser di
soluzione alcolica o di sapone liquido. In alcuni grossi supermercati all’entrata distribuiscono anche
guanti di lattice. Ma è quasi impossibile trovare in commercio alcool, guanti o mascherine. Oggi un
conoscente mi ha offerto uno stock di 50 mascherine chirurgiche a 5000 scellini – 50 dollari, 1
dollaro l’una – una cifra impossibile per la grande maggioranza della gente. In farmacia prima della
crisi 100 costavano 35 dollari. Tutto il mondo è paese, insomma. Non le ho volute, e non solo per il
prezzo ma soprattutto perché avrei contribuito ad alimentare l’accaparramento e la speculazione su
materiali sanitari preziosissimi in questo periodo e molto rari nel paese.

Con l’aumentare dei casi si sono moltiplicate ed inasprite anche le misure di contenimento del virus. Chiusi i bar; aperti i ristoranti ma solo per le consegne a domicilio. Imposta la distanza di sicurezza: i mezzi pubblici possono caricare la metà dei passeggeri per cui sono omologati; davanti alle casse dei supermercati sono comparsi dei bolli rossi alla distanza di un metro e mezzo l’uno dall’altro. E se ti metti in fila senza badarci, ti senti osservato, giustamente, con profonda irritazione. E infine, il 25
marzo sono stati chiusi gli aeroporti a tutti i voli passeggeri. Le frontiere terrestri erano già chiuse da
qualche giorno. Il 27 è stato imposto il coprifuoco dalle 7 di sera alle 5 del mattino. Una situazione
abbastanza inquietante, in cui, in un certo senso, ti senti preso in trappola e speri che nulla di grave
succeda.

Le misure adottate, davvero drastiche soprattutto se paragonate con i numeri del contagio, per ora
per fortuna non preoccupanti, sono tutte volte a impedire con ogni mezzo possibile che il virus si
diffonda. E’ chiarissimo infatti alle autorità competenti che sarà molto difficile, se non impossibile,
gestire un’epidemia conclamata e diffusa come quella scoppiata in Cina e che ha ora attaccato il
mondo occidentale. Il sistema sanitario è fragilissimo ed è ben lontano dal coprire la totalità della
popolazione. Le unità per la terapia intensiva sono 150 nel paese, quasi tutte concentrate a Nairobi e
presso ospedali privati.

Soprattutto si teme che l’epidemia possa raggiungere gli slum, dove la situazione socio – economica e la tipologia abitativa rendono molto difficile, se non impossibile, osservare le misure già imposte. Si calcola che negli slum che circondano Nairobi vivano circa 2 milioni e mezzo di persone, ammassate in abitazioni che spesso sono veri e propri tuguri, senza acqua corrente e servizi igienici.

Molto spesso la gente vive di economia informale e guadagna quotidianamente quel tanto che permette di mangiare alla fine della giornata. Se si dovessero imporre misure che, ancor piú di quelle attuali, limitano gli spostamenti e la possibilità di lavorare e commerciare sulla strada, si rischierebbe di condannare immediatamente alla fame migliaia e migliaia di famiglie. Con le conseguenze per la stabilità del paese che si possono immaginare. Stesso effetto avrebbe il moltiplicarsi dei morti. Uno scenario che tutti noi, cittadini keniani di nascita o di adozione, temiamo. Dunque speriamo davvero che le misure adottate dal governo possano scongiurare la scoppio dell’epidemia”.