Sembra che la pandemia stia pian piano attenuandosi in Kenya. Dall’inizio dell’anno i nuovi positivi e i morti per il contagio sono in diminuzione. E’ molto calato, peró, anche il numero dei tamponi effettuati quotidianamente e di conseguenza il controllo della circolazione del virus tra la popolazione, ma l’impressione é che il pericolo stia progressivamente diminuendo, almeno per il momento. Perció il paese sta progressivamente tornando alla normalitá.

Riaprono le scuole, ma in molti mancano all’appello
Il segno piú importante è la ripresa della scuola, o meglio delle lezioni per tutte le classi (per gli studenti delle classi d’esame erano giá cominciate in settembre). Il 4 gennaio è suonata la campanella di inizio del nuovo anno scolastico, ma i problemi da affrontare perché la situazione torni a quella dello scorso marzo, quando tutto si é fermato a causa della pandemia, rimangono enormi.

Secondo calcoli ufficiali, il 25% dei bambini e dei ragazzi in etá scolare non si sono presentati a scuola per ragioni diverse e tutte di difficile soluzione. In molti casi ha inciso l’aumento delle rette nelle scuole private, che sono molto diffuse nel paese dal momento che quelle pubbliche sono insufficienti e offrono un servizio generalmente piuttosto scadente. Si arriva fino al 30% di aumento, mentre il reddito di molte famiglie è calato drasticamente a causa delle misure di contenimento del virus, come del resto è successo in tutto il mondo. C’è poi lo spostamento di una parte della popolazione dalle cittá alle zone rurali, dove la scuola puó essere meno facilmente accessibile. Infine è grave il problema delle infrastrutture scolastiche, che, generalemnte parlando, non sono state adeguate alle necessitá del distanziamento dei frequentanti per evitare il contagio.

Scuole all’aperto?
Le autoritá competenti, in modo piuttosto populistico per la veritá, hanno piú volte invitato ad usare anche gli spazi aperti per le lezioni, senza tener conto del clima – frequenti piogge in alcune zone del paese, sole a picco e temperature molto elevate in altre, raffiche di vento quasi continue in altre ancora – e di altre circostanze che rendono la cosa praticamente impossibile. Il 14 gennaio il Daily Nation, il piú diffuso quotidiano del paese, ha dedicato un lungo articolo alla questione e l’ha intitolaro “Il miraggio di offrire lezioni sotto gli alberi”. Il governo minaccia sanzioni per i genitori che non riportano i figli a scuola, ma per ora non ha messo in campo misure di sostegno.

Quale futuro per le ragazze madri?
Molto dibattuta é anche la questione delle mamme adolescenti. Si tratta di un problema sociale non nuovo ma che la pandemia, con la chiusura delle scuole per quasi un anno, ha drasticamente aggravato. La maternitá e il parto precoci sono anche una delle cause della nascita di bambini con problemi neurologici diversi e di diversa gravitá, che spesso le mamme bambine non sono in grado di riconoscere e valutare adeguatamente.

Riportare le ragazzine a scuola durante la gravidanza e dopo la maternitá è dunque importante per il futuro dei neonati, ma anche per il futuro stesso del paese, in particolare per quanto riguarda la lotta alla povertá e all’esclusione sociale. Studi ormai vecchi e ben conosciuti affermano infatti che un anno di scuola in piú delle mamme significa una salute migliore per i figli e per la famiglia in genere e un reddito piú alto di diversi punti percentuali, e di conseguenza una riduzione della povertá sia a livello comunitario che nazionale. Ma per permettere davvero la frequenza scolastica a questo gruppo sociale sono necessarie strutture adeguate, per ora quasi inesistenti. In molte scuole mancano, o sono insufficienti, perfino le latrine mentre normalmente nei progetti di sostegno alla scolarizzazione delle ragazze sono previsti i “kit per la dignitá” che non sono altro che un certo numero di assorbenti riutilizzabili, per evitare l’interruzione della frequenza nei giorni del ciclo.

Anche il centro diurno di Paolo’s Home riapre!
Con la ripresa delle scuole, è stato riaperto anche il in centro diurno di Paolo’s Home.
Per fortuna disponiamo ormai di una struttura con spazi adeguati e dunque i piccoli potranno frequentare in sicurezza. In questi giorni si stanno valutando le situazioni dei diversi bambini frequentanti l’anno scorso e facendo i nuovi inserimenti. Alcuni dei vecchi iscritti si sono trasferiti al villaggio di origine, dove probabilmente non potranno avere un sostegno adeguato. Una bambina purtroppo è morta per una crisi convulsiva che la famiglia non ha potuto affrontare in tempo ed efficacemente. Alcuni di quelli che hanno frequentato gli interventi riabilitativi individuali che nei mesi scorsi avevano sostituito il lavoro in gruppo al centro diurno hanno fatto registrare miglioramenti significativi e per loro si sta cercando una scuola in cui possano essere inseriti adeguatamente.

Per la fine di gennaio, con le nuove iscrizioni, il centro diurno avrá una ventina di frequentanti che lavoreranno in piccoli gruppi in spazi diversi, cosa che consentirá il distanziamento sociale necessario per minimizzare il pericolo del contagio e che permetterá anche la sperimentazione di un lavoro meglio calibrato sui bisogni di ognuno.

Grazie agli esperti volontari che hanno favorito lo sviluppo delle competenze dello staff; ai donatori che ci hanno permesso di costruire una nuova struttura a Kibera è stato possibile sviluppare un lavoro globale per il recupero dei bambini con bisogni speciali offrendo anche un sostegno le loro famiglie. Il centro Paolo’s Home sta diventando un centro di eccellenza e di riferimento anche per altri progetti simili al nostro.

Bruna Sironi, dal 2018 volontaria di Cittadinanza a Nairobi, collabora stabilmente con la rivista Nigrizia e ha alle spalle oltre 20 anni di cooperazione in Africa.

Le attività del progetto Paolo’s Home sono realizzate all’interno del progetto SPARK- PROTEZIONE SANITARIA, ACCESSO A CIBO, RIABILITAZIONE ED EMPOWERMENT PER I BAMBINI CON DISABILITÀ E LE LORO MADRI NELLE AREE SVANTAGGIATE DI NAIROBI (KENYA) (ID 7) –
Kenya (paese prevalente) – CUP n. E41B20001260003 della Regione Emilia Romagna e con il contributo della Chiesa Valdese e della Fondazione Irma Romagnoli.