Secondo i dati diffusi giornalmente dal Ministero della sanitá del governo del Kenya, domenica 17 maggio i contagiati dal corona virus erano ormai 887 mentre i morti erano 50. I numeri non sono ancora paragonabili a quelli dei paesi europei e asiatici e dell’America, ma preoccupa l’aumento giornaliero. Era di una decina di persone in aprile. Dall’inizio di maggio la media è ormai di una trentina, con punte molto piú alte: 57 in piú da sabato 16 a domenica 17 maggio.

Ma è ormai evidente che la pandemia per ora ha un devastante impatto soprattutto in settori diversi da quello sanitario e in particolare sugli strati sociali piú deboli.

Nei giorni scorsi sono stati diffusi i risultati di una ricerca condotta in alcuni slum di Nairobi, compresi Kibera e Kawanguare, da dove provengono i piccoli pazienti di Paolo’s Home, il progetto supportato da Cittadinanza. Il rapporto – Covid-19: Global pandemic in Nairobi’s Low Income Areas; Health, Socio-Economic and Governance Aspects (Covid – 19: Pandemia globale nelle aree a basso reddito di Nairobi; aspetti sanitari, socio-economici e di governance) – descrive come in queste aree il coronavirus abbia inciso in modo  drammatico soprattutto a livello socio economico.

Vi si dice che il 93% della popolazione delle baraccopoli si è trovato di fronte ad un repentino cambiamento di vita a causa delle misure prese dal governo per contenere il contagio.  Addirittura il 97% ha perso una parte del reddito – tra questi il 30% ha perso completamente il lavoro nell’ultimo mese – tanto che moltissime famiglie, dopo aver azzerato i magri risparmi, non hanno piú risorse per pagare l’affitto e molte non riescono a procurarsi il cibo regolarmente. Le piú colpite sono le donne, dal momento che la maggioranza tra loro non ha mai avuto un lavoro regolare. Chi lavora nel settore informale ha risentito prima e in maniera piú grave delle misure decise dal governo per contrastare la diffusione dell’epidemia. Il coprifuoco, imposto dalle 7 di sera alle 5 del mattino, la chiusura totale dei bar e dei ristoranti, la restrizione dei movimenti nel paese hanno limitato drasticamente la possibilitá di guadagnarsi da vivere nei settori in cui le donne degli strati sociali piú deboli sono maggiormente occupate: la ristorazione, la produzione casalinga di cibo da vendere sulla strada, i piccolissimi commerci di verdura, pesciolini (chiamati omena nel paese), vestiti e scarpe usati.

La ricerca conferma quanto, empiricamente, giá sapevamo. Il team di Paolo’s Home, dopo un paio di settimane dalla chiusura delle attivitá per le disposizioni governative, aveva fatto un giro di telefonate per conoscere le condizioni di vita delle famiglie e di salute dei piccoli pazienti presi in carico dal centro. Le informazioni raccolte erano davvero preoccupanti. L’aggravarsi delle condizioni economiche aveva addirittura provocato la rottura di diversi nuclei familiari. Alcune mamme erano rimaste sole ad accudire al figlio disabile con una manciata di scellini per tirare avanti. Dopo quel monitoraggio abbiamo deciso che dovevamo intervenire. E abbiamo chiesto il vostro aiuto per distribuire pacchi alimentari. Abbiamo giá finito il secondo giro di distribuzione alle 70 famiglie piú in difficoltá. Altre 90 famiglie riceveranno presto il primo pacco, grazie al supporto di una ong tedesca (Sign of Hope) che ha voluto unirsi a noi nell’aiutare i bambini disabili che frequentano il centro, gli ultimi degli ultimi e non solo negli slum di Nairobi.

Bruna Sironi, dal 2018 volontaria di Cittadinanza a Nairobi, collabora stabilmente con la rivista Nigrizia e ha alle spalle oltre 20 anni di cooperazione in Africa.